Un padre malato, un paziente che insegue, un figlio, un medico, una segretaria, una badante; personaggi e ruoli sociali si accavallano e si intersecano in questo breve romanzo-racconto-diario che ruota attorno alla malattia e alla morte. Il protagonosta principale della storia non è un personaggio in carne ed ossa, ma i personaggi incarnano la reale protagonista che è l’incapacità di comunicare. L’incapacità di trovare le parole per dire ciò che, qualora fosse detto, si è sicuri che scatenerebbe una vampata di sentimenti e di emozioni incontrollabili. Il padre-malato che come tutti i pazienti “sospetta sempre che non gli venga detta la verità, o almeno non tutta la verità”, perchè in realtà già la sanno, tutta la verità, sono malati! Il medico-figlio “si sente rinchiso in un profondo nulla, una vertigine” da cui non riesce ad emergere se non per rigurgiti, subendo le inconciliabili pressioni interne. Il paziente improbabile, che insegue un medico spinto da chi sa da quali bisogni di rassicurazione. Una infermiera /segretaria che si impietosisce e dimentica i limiti delle sue funzioni, ma sortisce un effetto terapeutico. Nella scrittura di Barrera Tyszka emergono le aporie della medicina odierna: nessuno degli estremi di queste relazioni parentali e professionali sa in realtà cosa è lecito fare. Quale è il compito di un figlio medico? Quale quello di un padre infermo? Quale quello di chi è coinvolto per caso nel dramma altrui? Quale è il “momento buono per dire la verità” per comunicare? Appare chiaro che la salute è “un ideale immobile” e che la malattia è “un esercizio di vita”. Molto interessanti sono le citazioni dalla letteratura, medica e non, che offrono l’occasione per rivisitare i perchè della medicina. In fondo non è la malattia che uccide, ma il “silenzio“!!!
Commento ayurvedico
Tutte le menti e i cuori coinvolti, non sono capaci di accettare che “la vita è un caso?” Se lo fosse, morire, sarebbe facile. Ma “morire non è così facile come sembra” e la malattia “non permette di fare finta di non vedere la morte”. Ciò è valido per tutti! Pazienti e medici e assistenti! L’Ayurveda riconosce e stabilisce la responsabilità alla pari, di fronte al fatto ‘malattia’, fra tutti gli attori della situazione. I ruoli sono diversi, ma la Vita è la stessa per tutti. Tutti corrono un pericolo! Il paziente rischia la vita. Il medico che vuole sapere e capire di più rischia anche lui la vita; è citato il caso di Vesalio, condannato a morte per avere osato una autopsia a cuore battente (come accade oggi negli espianti degli organi da trapiantare! Ma questo è un altro discorso!). Gli assistenti rischiano di perdere la prorpia identificazione rassicurante e di non essere più se stessi fra i malati e i medici che non sanno cosa fare. La malattia possiamo intenderla ayurvedicamente come un ritorno alle origini, le sofferenze che le sono connaturate sono le tracce dei karma non ancora estiniti e che, proprio in quel dolore si stanno consumando. Nella cosmologia orientale , così come nella Bibbia, l’origine del Tutto è il suono primordiale. Tutto è evoluzione della vibrazione originaria. L’eco della parola è l’ultima vestigia dell’umano, prima che l’ahamkara nuovamante si dissolva nell’Atman o Chaos originario!
Ma la Vita “è un caso”?
Alberto Barrera Tyszka, La malattia, Einaudi, 2012, €13,50