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Il lento risveglio di …Kapha

venerdì, 1 ottobre 2010

Bellissimo il mattino presto in questo piccolo paese sul mare. Sono da poco le 6 e, verso fine Settembre, ancora un po’ buio e aria fresca. C’è silenzio, adesso si sente solo il mare. Poi a poco a poco il cielo si schiarisce, mentre comincia a passare col suo frastuono il mezzo della nettezza urbana che pulisce le poche strade all’interno e il lungomare. Una riflessione: la gente qui, soprattutto se di passaggio, così come altrove e forse dappertutto, getta tutto a terra, con negligenza e indifferenza, come se vie, paese e città e il mondo intero non fossero un bene comune, di tutti.

Poi, mentre con un po’ di affanno ma tanto impegno, qualcuno con tuta e scarpe da ginnastica fa jogging, si alzano le serrande dei piccoli bar e dei caffè e si diffonde per tutto il borgo il profumo del pane e della focaccia appena cotti.

Arriva anche il fornaio col suo piccolo furgone a distribuire i panini e i dolciumi per le prime colazioni e così dentro i bar si scambiano i primi saluti e le immancabili battute sul governo e sugli avvenimenti del giorno prima, in un dialetto dallo stretto accento spezzino.

Già si sentono i rintocchi della campana e, dalla vicina stazione ferroviaria che si affaccia sul lungomare, gli annunci dei treni in partenza e in arrivo. Qualcuno passa frettolosamente per andare a prendere il treno che lo condurrà al lavoro nella vicina città di provincia, mentre si riversano sul lungomare i turisti, quasi tutti stranieri, alcuni con le valigie stracolme per l’inizio del soggiorno nella località di mare, altri, infaticabili, con scarponi e corti pantaloni alla zuava per i chilometrici trekking da fare nei dintorni.

A bordo di un rumorosissimo ciclomotore arriva un tipo sui 50 anni, con sigaretta spenta in bocca: frena bruscamente, scende, apre l’edicola e scioglie il pacco di giornali ancora imballato a terra ed espone quotidiani e riviste. I titoli sono in diverse lingue, non solo italiano: bello questo senso di universalità, di tante realtà etniche, di tanta gente diversa, di tanto mondo diverso e vario intorno a noi…

Intanto, i bagnini sistemano le sedie a sdraio sulla spiaggia, aprono gli ombrelloni ancora chiusi, rastrellano la sabbia dei pochi stabilimenti balneari ed osservano mare e cielo: oggi dovrebbe essere una bella giornata, soleggiata, senza nuvole, il mare è liscio e tranquillo, quindi nessuna bandiera né rossa né gialla per il bagno in mare. Cominciano ad arrivare i bagnanti, muniti di stuoino, asciugamani colorati, materassino, zaini pieni di provviste e bambini irrequieti con secchielli, palette e salvagente dai colori abbaglianti. Direzione: la spiaggia. E per chi non vuole spendere e si è portato anche l’ombrellone, c’è la spiaggia libera.

Le voci si sommano e così pure i rumori: la gente in vacanza si siede ai tavolini dei bar sul lungomare, sorseggia il cappuccino tra un morso e l’altro della brioche, mentre sfoglia il quotidiano e assapora il piacere di un po’ di tanto desiderato ozio… Qualcuno pigramente sbadiglia. Il profumo del caffè si diffonde: per fortuna qui non possono circolare le auto, che vanno lasciate al parcheggio fuori dal borgo. Solo qualche Ape passa per caricare e scaricare merci e bagagli, come quello di Franco che da una vita fa la spola tra gli alberghi e la stazione ferroviaria per trasportare persone e valigie a destinazione.

Anche i negozi alzano la serranda: i gestori espongono le merci migliori e più attraenti, puliscono la vetrina e scopano il proprio tratto di marciapiede e di strada. Ma quel negozietto ricavato in un angolo della via con 2 tende accostate, aperto da metà maggio ad ottobre, che vende solo ciabatte di gomma, colorate, di tutte le misure e di diverse fogge, come mai farà a vendere quelle ceste stracolme di ciabatte da mare adesso che è ormai già fine settembre? Andranno ai turisti dell’anno prossimo…

Due anziane signore a passeggio immerse nelle loro chiacchiere vengono quasi investite dalla comitiva di giapponesi appena scesi dall’enorme autobus che l’autista è riuscito a parcheggiare con incredibile manovra. Poco lo spazio di questa terra stretta tra il mare e la collina: così è la Liguria, e questo è uno dei suoi aspetti più affascinanti.

Poi arriva l’ambulante: verso le 8.30, ormai da anni, tutte le mattine nella stagione balneare da giugno a settembre, con le verdure e la frutta di produzione locale. Intanto i vigili urbani passeggiano su e giù per le vie, controllando l’ormai iniziato e progressivo andirivieni di gente di ogni età, sesso e paese.

Tra le case, quasi nascosta, anche una chiesa ortodossa e qualcuno davanti all’ingresso che aspetta di entrare: in vacanza o no, quando sei in un paese straniero, poter frequentare il tuo luogo di culto ti fa sentire più vicino a casa e ai familiari lontani.

Così dal silenzio delle prime ore del mattino, in cui solo il mare e i gabbiani si fanno sentire, si passa poco a poco al vocio e ai rumori della gente e delle cose in un crescendo via via più intenso nelle ore successive: tutto il paese si anima e si muove.

Questo lento risveglio, graduale, questo movimento che inizia piano piano e va aumentando ci fa venire in mente Kapha, che con gli altri dosha Vata e Pitta costituisce i 3 principi energetici che, secondo l’Ayurveda, si combinano a determinare la nostra costituzione individuale. Kapha è calmo, lento, un po’ indolente e pigro, ma pesante, solido e stabile come una grande macchina, come un elefante, come una montagna: il movimento inizia piano piano, ma poi è difficile da fermare perché comunque procede e va avanti fino all’arrivo. Una partenza un po’ sonnecchiante come quella di un piccolo paese o di una grande città: un lento risveglio, che tarda a partire, ma poi procede, procede, procede inevitabile e progressivo, tutte le mattine, giorno dopo giorno.

Il Festival della mente e… l’Ayurveda

venerdì, 17 settembre 2010

Si è svolta il 3-4-5 settembre 2010 la 7° edizione del Festival della mente di Sarzana, graziosa cittadina della provincia di La Spezia,nella Val di magra, in Lunigiana, terra di antiche vestigia romane. Sede del Festival la Cittadella di Firmafede , rafforzamento difensivo degli avamposti del dominio mediceo: un ampio recinto rafforzato da quattro rotondi torrioni agli spigoli con cortile quadrangolare, destinato agli alloggi dei soldati e alle stalle.
Arrivati col treno a Sarzana, percorrendo a piedi il viale alberato dalla stazione ferroviaria verso il centro, si arriva alla piazza Firmafede : camminando lungo una stradicciola a ciotoli fiancheggiata da piccole case con balconi fioriti e con porte e finestre in elegante ferro battuto, si arriva alla fortezza Firmafede . I padiglioni, luogo di incontro – come riportato da un giornale in questi giorni -“ dei più bei cervelli italiani”, sono stati allestiti dentro e nelle immediate vicinanze della fortezza, imponente costruzione circondata da fossati, edificata per volontà di Lorenzo il Magnifico dopo la conquista della città di Sarzana strappata ai genovesi nel 1487. Così Sarzana è diventata per tre giorni un laboratorio culturale all’aperto: per le piccole strade del centro storico o davanti ai negozietti sempre aperti o seduti ai tavoli dei caffè nelle piazzette, dove il vocio della gente era rotto solo ogni tanto dal rintocco delle campane, si sono ritrovati saggisti, letterati, scrittori, poeti, giornalisti, uomini di cultura, intellettuali e gente comune, tutti riuniti da una gran voglia di fare cultura, di incontrarsi e discutere un po’…
Piacevolissimo osservare il caleidoscopio di persone in giro per le strade e le piazze: dal tipo in camicia, cravatta, valigetta ventiquattro ore e occhiali in policarbonato, al “ dandy” elegantemente vestito con cappello Panama, giacca color avorio e occhiali scuri, dal ventenne con maglietta, jeans e scarpe da ginnastica, alla signora non più giovane con lunga sciarpa, tacchi a spillo e occhiali alla Lina Wertmuller, alla giovane signora con bambini per mano nella continua ricerca di una toilette per le emergenze improvvise …
Numerosi gli incontri tenuti dalla mattinata di sabato e domenica fino a tarda sera e un programma speciale con spettacoli didattici ed esperienze in laboratorio per bambini e ragazzi fino a 14 anni.
E tutto nel filo conduttore di una speciale attenzione rivolta alla mente e ai suoi rapporti con l’arte, la musica, la letteratura, l’ambiente, le relazioni sociali, la storia, la filosofia e la psicoanalisi.
Impossibile seguire tutto ( molti incontri in contemporanea ): una vera e propria fucina di lavoro rivolto alla mente.
Negli incontri dedicati all’arte ( contemporanea ), è emerso – come ormai già punto fermo – che nel triangolo artista, opera d’arte e pubblico che osserva, chi guarda l’opera d’arte finisce di crearla, la completa. Solo attraverso il pubblico che la guarda e che ne viene coinvolto, l’opera d’arte è vissuta. Quindi, l’arte vive soprattutto attraverso l’interazione col pubblico e cioè attraverso una relazione.
E da sempre l’Ayurveda ci dice che tutto è un sistema di relazioni: noi, esseri viventi umani, unione di corpo, mente e spirito, siamo in continua relazione con gli altri, con il mondo intero, con ciò che ci circonda e con l’ambiente. Un continuo flusso di informazioni che arrivano attraverso i sensi a “manas” , la mente cognitiva, centro di coordinamento delle reazioni di risposta adattativa agli stimoli esterni.
Nei 3 incontri dedicati alla psicoanalisi, è stato ribadito il concetto – ormai acquisito -che nel rapporto psicoanalista e paziente l’analista non è osservatore asettico ed esterno, ma partecipa sempre coinvolto, con i suoi ricordi, le sue emozioni e i suoi sentimenti. Mentre lavora col paziente, cercando di intuire, di capire, di dedurre e di provocare reazioni nel paziente, intanto lavora su se stesso.
Altro importante concetto sottolineato è che, nella via della psicoanalisi e del percorso verso la guarigione nei disturbi del comportamento e nelle cosiddette “nevrosi da stress”, la soluzione è la presa di coscienza, è intraprendere un processo di individuazione di sé, delle proprie qualità. E questo è quello che l’Ayurveda e i grandi saggi da sempre ci insegnano: la conoscenza di sé, la consapevolezza di se stessi, del proprio esistere, delle proprie attitudini personali e dei propri attributi (“guna”). E questo è ciò cui si deve tendere, è il percorso da seguire per la tutela del nostro benessere, del nostro star bene. Perché secondo l’Ayurveda non ci sono la salute mentale e la salute fisica: c’è la salute, la nostra condizione originaria, per noi, unione di corpo, mente e spirito.

Trasloco con l’Ayurveda

lunedì, 30 agosto 2010

E tre…

Questa è la terza volta che affronto un trasloco: per il primo avevo 10 anni, e quando sei bambino tutto è più facile, ti diverti a spostare le cose e poi ci pensano i genitori.

Ma un trasloco dopo 20 anni dal precedente è un’altra cosa e un terzo dopo altri 20 anni un’altra cosa ancora: tu stesso sei diverso, hai degli anni in più, le tue reazioni agli eventi esterni sono cambiate e le tue risorse energetiche pure. E poi col trascorrere del tempo nel corso della vita cambiano anche le condizioni esterne:  le situazioni di lavoro, il rapporto con i colleghi, le amicizie, magari hai conosciuto persone nuove che in qualche modo hanno influenzato il tuo carattere, il tuo modo di pensare. Anche le situazioni familiari col tempo cambiano: hai perso un genitore o entrambi, i tuoi figli sono cresciuti, hanno studiato, hai dovuto affrontare i loro problemi, se sei sposato il rapporto con tuo marito o tua moglie può essere  migliorato o peggiorato, oppure sono subentrati problemi di salute più o meno gravi… Nel corso della vita possono cambiare anche la tua religione, la tua ideologia politica, il tuo stile di vita, puoi aver vissuto nascite e lutti, hai affrontato e cercato di risolvere disguidi e contrattempi, sei stato testimone più o meno partecipe degli eventi sociali, politici ed economici del tuo paese e – come no? – anche del mondo intero.

E secondo l’Ayurveda noi, essere umani, unione di corpo, mente e spirito, siamo in continua relazione con tutto ciò che ci circonda, con l’universo tutto in un continuo processo di adattamento – reazione e risposta-  a tutti gli stimoli esterni, vicini o lontani che siano. Quante volte questo continuo “ bilanciamento “ avviene nel corso della vita ?!  Innumerevoli volte, sempre. Le dune nel deserto possono rimodellarsi lentamente nel tempo  oppure trasformarsi rapidamente in pochi minuti durante una tempesta di sabbia. E come la natura, anche noi nel tempo cambiamo…

Così, mi sono detta, vediamo come io, sicuramente diversa da prima, affronto un altro trasloco: cambiare casa, paese e regione. Mi sono messa come uno spettatore in teatro ad osservare come io stessa – corpo, mente e spirito – mi adattavo al trasloco: e il trasloco è pur sempre uno sradicamento, se lasci le tue cose, la tua casa, il tuo paese dopo esserci stato per 20 anni. E’ come quando in un campo o in un viale viene rimosso un albero: non sempre tutte le radici restano attaccate all’albero rimosso, le più piccole, quelle meno importanti e vitali si rompono e restano a terra.

E’ comunque più facile traslocare per le popolazioni nomadi: sostando nelle oasi tra le sabbie infuocate del deserto o attraversando gli altopiani brulli ai piedi dell’Himalaya, le carovane si spostano smontando le tende e caricando sulle spalle e sul dorso degli animali le poche e semplici vettovaglie.

Per noi, che possediamo tante più  cose e tanti più oggetti, l’impresa è più complicata. Dobbiamo portare con noi i vestiti per il cambio di stagione, il computer con la stampante al laser, il servizio di porcellana della nonna, il televisore a cristalli liquidi acquistato come occasione da non perdere nel centro commerciale, la nostra poltrona preferita con lo schienale adattabile dove a volte quando leggiamo ci addormentiamo tranquillamente, il vaso in vetro di Murano souvenir dell’ultimo viaggio a Venezia, il vassoio in argento – classico regalo di nozze del vicino di casa.

E sono tutte cose…  In realtà, in occasione del trasloco, tutte le volte che ti capita tra le mani un oggetto ti dovresti chiedere: per non riempire di scatole e scatoloni un TIR intero, questa cosa mi serve davvero?  E’indispensabile?  Ha un valore affettivo importante, oppure no?  Così è più facile scegliere. E se poi ti ritrovi cose doppie o addirittura triple che non ricordavi di avere e che spuntano da chissà dove, perché non distribuire o regalare a chi ne può avere bisogno? Le coperte alla Caritas o alle strutture analoghe, le pentole vecchie anche se un  po’ sciupate al canile per le zuppe degli ospiti a quattro zampe… E se la lavatrice o il frigorifero sono vecchi ma ancora un po’ funzionanti e tu hai deciso di rinnovarli, basta portarli in discarica oppure passare parola ai vicini di casa per regalarli: qualcuno che ne ha bisogno salterà fuori.

E così un trasloco diventa un fatto di crescita e un’esperienza positiva: ci aiuta a dare il valore alle cose, ci aiuta a capire che possediamo tanti, forse troppi oggetti, a capire che le nostre case spesso contengono più di quello che ci servirebbe e che sicuramente ci basterebbe meno di quello che abbiamo. Condurre un trasloco passo a passo con l’Ayurveda diventa un’occasione per conoscerci meglio e – perché no ? – per metterci alla prova… Perché l’Ayurveda ci insegna che  uno degli  scopi da realizzare nella nostra vita è  artha, cioè il raggiungimento dei beni materiali, ma solo di ciò che ci serve per vivere e questo, se ci pensiamo bene, ci basta.

Giochiamo un po’ con i dosha…

sabato, 7 agosto 2010

22 luglio 2010 h.7.16

Stazione di Carrara-Avenza. Il treno proveniente da Pisa centrale e diretto a S. Stefano Magra è in perfetto orario. A quest’ora del mattino ancora pochi rumori e poca gente: qualcuno non è in ferie e va al lavoro, qualcuno invece è in ferie e parte con armi e bagagli. Il treno farà sosta a La Spezia, crocevia per i treni diretti in Liguria costeggiando la riviera di levante e per quelli diretti in Emilia, passando attraverso l’Appennino tosco-emiliano.

A La Spezia, salgo sul regionale per Sestri Levante fermo in attesa sul 1° binario: qui tante voci e molta gente che, con borse e zaini stracolmi di ogni cosa, andrà a raggiungere le spiaggette delle Cinque Terre e delle altre località della riviera di levante per una giornata di mare.

Accanto al finestrino sul treno in attesa della partenza, mi piace osservare il va e vieni delle persone in vacanza, tutte accomunate da un’irresistibile voglia di libertà e trasgressione.

Certo, i dosha Vata, Pitta, Kapha, i 3 principi energetici dell’Ayurveda che si assemblano secondo varie modalità a determinare la “prakriti “, cioè la nostra costituzione individuale, sono qualcosa di molto serio e di importanza essenziale; ma nel clima un po’ sfaccendato e scanzonato delle ferie estive, è divertente cercare di individuare, se pur grossolanamente ed esteriormente, la tipologia di ciascuno mettendola in relazione al dosha più evidente.

Qualche sedile più in là una signora sui 30-35 anni, capelli chiari e raccolti, occhi azzurro-grigi, carnagione chiara- rosata e un po’ lentigginosa, indossa un ampio abito accollato che la copre quasi del tutto : sicuramente non può esporsi al sole, si scotterebbe facilmente. Parla animatamente con i vicini, quasi a convincerli di qualcosa: parla solo lei. E penso: è Pitta?

Poi passa frettolosamente e con fatica un uomo sbuffando per il caldo, 50-55 anni, ampi bermuda sotto il ginocchio, ciabatte da mare, cappello con tesa da giocatore di rugby, qualche rotolo in più sui fianchi e sul giro vita che ingigantisce le verdi palme e gonfia le bianche vele stampate sulla camicia azzurra sbottonata per il caldo. Sembra una locomotiva ansimante. Avanzando, fa violentemente ondeggiare una bottiglia dalle pareti appannate, sicuramente gelida. Ha molto caldo, già alle 9 del mattino. E penso: è Pitta ?

Poi arrivano lei e lui, circa 25-30 anni a testa. Lei si siede ansiosa nel primo posto libero, lui resta in piedi, solleva e ripone nel portabagagli i 2 voluminosi sacchi a pelo: si vede che ha molta forza. Lui è gentile, la rassicura, è calmo e sorride a lei irritata che protesta vivacemente in tedesco. Lui è premuroso, parla poco, ha capelli folti e grossi, corporatura robusta e muscolosa, forse un po’ massiccia, carnagione chiara, un po’ pallida, il volto rotondo, indossa pantaloni corti e una camicia ben abbottonata: sembra non avere caldo e resta tranquillo a guardare fuori dal finestrino. E penso: è Kapha ?

Poi si avvicina una ragazza sui 15 anni, troppo magra e troppo alta, dinoccolata, cammina quasi dondolando, sembra buttare le gambe un po’ qua e un po’ là.  Si siede davanti a me: ha capelli lunghi e sottili, carnagione olivastra, lineamenti del viso irregolari, naso pronunciato e labbra sottili. Le cadono gli occhiali da sole; cerca svogliatamente il biglietto nell’ampia borsa piena di mille cose alla rinfusa, finalmente lo trova, sembra distratta e un po’ trasognata. E penso: è Vata ?

Il capotreno fischia e si chiudono le porte.  Il treno parte.

Anche a Giorgio Gaber piaceva la schiuma…

mercoledì, 5 maggio 2010

Infatti nella sua canzone “Lo shampoo” del 1972, sconosciuta ai piu’ giovani di oggi, il grande cantautore milanese giocava divertito con la schiuma dello shampoo, unico passatempo per rompere la noia di una brutta giornata chiuso in casa…

E la schiuma e’ spesso protagonista di tanti spot pubblicitari:

la vediamo rendere felice e soddisfatta la casalinga che usa il detersivo che riesce a vincere lo sporco piu’ ribelle e ostinato,

la vediamo rallegrare l’impiegato che, dopo la doccia del mattino con bagnoschiuma al mango, va in ufficio felice fischiettando,

la vediamo avvolgere la donna mollemente adagiata nella vasca per idromassaggio in un sensuale relax.

Bianca, morbida, leggera e seducente, vogliamo la schiuma un po’ dappertutto: ci piace, ci protegge, ci invita e ci sembra indispensabile tutte le volte che cerchiamo l’effetto pulente, dall’automobile alla lavatrice, dai pavimenti alla lavastoviglie e anche e soprattutto sotto la doccia, dove la schiuma ci piace tanto…

Forse non ci ricordiamo abbastanza che la schiuma, tranne quella del cappuccino, non e’ quasi mai di origine naturale ed e’ invece ottenuta con l’impiego dei tensioattivi di sintesi, sostanze chimiche detergenti e solubilizzanti, piu’o meno schiumogene, ottenute dal petrolio e quindi non completamente biodegradabili. Così montagne di schiuma, profumata o no, mescolata a conservanti, coloranti e sbiancanti, si riversano nelle nostre acque, inquinando fiumi e corsi d’acqua.

Fortunatamente, l’industria del biologico ci mette a disposizione una notevole varieta’di detersivi per uso domestico e detergenti per l’igiene personale completamente biodegradabili e quindi a minor impatto ambientale.

L’Ayurveda per l’igiene quotidiana ci propone polveri detergenti (naturalmente prive di conservanti, coloranti, additivi e sostanze chimiche di sintesi ) a base di erbe e farina di ceci: non c’e’ da stupirsi, la farina di ceci, gia’ nota dall’antichita’ per il suo potere di pulire dalle impurita’, ha tra l’altro un effetto rigenerante e tonico sulla cute per il suo elevato contenuto proteico e una qualita’ emolliente, che ammorbidisce la pelle e la rende più elastica. Si tratta di polveri adatte per tutti i tipi di pelle, indicate anche dopo trattamenti ayurvedici oleosi, in quanto l’effetto detergente delicato e “fisiologico” non altera i benefici dell’oleazione. L’uso e’ molto semplice: si prepara con la polvere una pastella con acqua tiepida e poi la si distribuisce sfregando leggermente: forse ci sara’ un po’ meno schiuma, ma la nostra pelle ci ringraziera’ e anche i mari e i fiumi.

Perche’ non provare?