La “Speranza di domani” è il titolo e l’argomento centrale del libro scritto dell’oncologo francese David Khayat a proposito del cancro. Nella prima parte del bel testo sono spiegate con precisione le attuali conoscenze sulla genesi ed evoluzione del cancro. I fattori di rischio, il funzionamento del DNA, l’ereditarietà ed anche l’influenza della psiche che impedisce di distinguere un ‘buon paziente’ (che guarirà!) da un ‘cattivo paziente’ (che morirà!) perchè quello che conta è la qualità della relazione che si crea fra medico e paziente. Se affiora un poco di serietà in chi scrive di medicina, si ricade sempre in questo aspetto fondamentale e non computabile ed ineliminabile della medicina! Cioè la relazione medico-paziente! Nella seconda parte si passa alla terapia del tumore. La chirurgia fa la parte del leone; tolto il tumore però il problema non è risolto per sempre, il fattore tempo è difficile da calcolare, ci possono sempre essere delle ricadute. In soccorso giungono la chemioterapia e la radioterapia che si sa essere lesive e velenose, pur se ‘addomesticate’ negli ultimi anni, ma “non c’è altro di meglio a disposizione!” Questa è la sconsolate affermazione degli oncologi tradizionali. Il dott. Khayat ammette che la valutazione dei benfici e dei risultati non può riferirsi al singolo malato, ma che rischi e benefici sono valutbili solo in modo statistico! Anche agli ormoni sono usati come farmaci, quando c’è una ormonodipendenza ed alla fine del capitolo dice che “questi elementi lasciano sperare che verrà un giorno in cui i farmaci sconfiggeranno questa malatttia” che introduce la terza parte sulle “strade della speranza” che conducono alle “cure di domani”.
Smette i panni dello scienziato e veste quelli di chi invoca e spera! “Non abbiamo altra scelta; … non conosciamo le strade, ma ci sono!… Avanzeremo a grandi passi verso la sconfitta della terribile malattia”. Khayat individua il problema del cancro nell’Etica. Ad esempio: il fumo ed il cancro; dovremmo imporre il non-fumo a tutti?! E che fare con sole e melanoma?! Con alcool e fegato? Con conservanti e cibi?! Avremo gli anticorpi monoclonali che “certamente verranno molto in fretta a consolidare l’arsenale terapeutico” “farmaci meno tossici “… “Speriamo di scoprire il modo di curare… evitando inutili sofferenze”. “Provvederemo presto a farlo…. il modo di vivere ‘in pace armata’ col cancro” (!) E si rammarica “che non possiamo decidere per tutti i malati… e dobbiamo rispettare la loro indipendenza e le loro scelte… sforzandoci di dare loro tutte le informazioni di cui disponiamo” per dare ai pazienti il “diritto a sperare”. Solo per ultimo si ascolta il paziente e come gli studi dello stesso Khayat dimostrano, le aspettative dei malati differiscono da quelle che i medici “hanno pensato”! I pazienti attendono interesse, comunicazione, presenza, ascolto! Non morfina e cateteri!! La sfida non è ‘scientifica’, ma umana! Ai pazienti, agli uomini, interessa comunicare, non rimanere soli al feddo, come nel tubo della TAC! Emerge che il proplema della cura del cancro, non sono le tecnologie, ma “la mancanza di interesse per l’altro, per questo malato. Mancanza di interesse per ciò che non è scientifico e quantificabile”. Dopo 174 pagine ben scritte, finalmente la verità si svela!
Non vorrei essere irriverente ma ricordo un proverbio: chi vive a speranza muore cacado! Come tutti i proverbi è eccessivo, ma coglie sicuramente l’aspetto di debolezza insito nella sola “speranza”. Il vocabolario dice che: Speranza è un sentimento piacevole che sorge nell’anima per l’idea di un cambiamento futuro (Tom.Bell.) Speranza è uno stato d’animo sorto in stato di incertezza, svantaggio o pericolo in attesa di un evento (Batt.). Osho fa notare che: speranza non è una gioia, è solo un trucco della mente perchè vi consoliate, perché vi autoconvinciate che l’oggi è ormai trascorso, ma il domani vi riserverà qualcosa di bello. Si sogna, si spera, si progetta.
Nel mio personale vocabolario, la parola più brutta è: SPERANZA. Sta ad indicare una proiezione emotiva e mentale di una ipotesi, non fondata su fatti, della realizzazione di qualcosa in un futuro indetermianto! Non vedo proprio come questo atteggiamento possa essere alla base della pratica della medicina e fondamento di una relazione terapeutica.
Altro è avere FIDUCIA in sè stessi e nelle proprie capacità di accettare, intendere ed affrontare tutto ciò che accade. E’ necessario, sulla scia degli insegnamenti di Cristo e del Buddha considerare che sofferenza, malattia, vecchiaia e morte sono gli angoli del ‘ring’ della nostra vita e non abbiamo ‘speranza’ di poterne uscire. Sono null’altro che la nostra Vita, il nostro Dharma!
D. Khayat, La speranza di domani, Codice Edizioni, Torino, 2005
Articolo di Guido Sartori
Dott. Guido Sartori, medico, laurea con lode presso Università di Bologna, tesi sperimentale sull'Ayurveda; pratica a Bologna la Medicina Tradizionale Ayurveda; come presidente Associazione Pazienti Ayurvedici ATAH Ayurveda ha sottoscritto il Documento di Consenso per le M.N.C.; membro della Commissione Medicine Non Convenzionali dell'Ordine dei Medici di Bologna, docente Master Universitari in M.N.C., già docente alla scuola Ayurvedic Point; socio fondatore Ass. ASIA, insegnante di Yoga e 2° dan Ki-Aikido Yushinkai; consulente farmacologo e formulatore di preparati ayurvedici innovativi con piante italiane; socio fondatore Ass. Medicina Centrata sulla Persona ONLUS; ha studiato con Vaidya Bhagwan Dash, Asthavaidya Narayanan Nambi, Madhu Bhajra Bajracharya
Io dico solo che se al genere umano togliamo la speranza nel domani l oggi finisce di esistere nello stesso istante